
INKTOBER – GIORNO 3: BULKY
Francesca Maggi

Perché sono 1300 pagine e quando lo portavo a scuola per leggerlo mi ingombrava parecchio!
Ti trasferisci nella casa di mia mamma, e la prima cosa a cui pensi è quel gigantesco mobile francese di rovere a cui lei teneva moltissimo: muori dalla voglia di farlo a pezzi, con il biasimo di tutti quelli che quando ti muore la mamma ti tengono gli occhi addosso, e ti dicono che quella roba lì, che sembra una bara matrimoniale corredata di uno specchio, non lo vogliono, e che è lì che deve stare, nel salotto di casa. Li ignori, e fai vedere l’aggeggio a uno che ti dice che lo porta in un reparto d’ospedale per bambini, dove può contenere i giocattoli e magari far somigliare la struttura a una casa.
Dici di sì.
Quando portano via il mobile rimangono le ragnatele, l’intonaco da ridare e l’umidità da scacciare. E finalmente piangi.

Massimo Guelfi
Autunno 2040.
Tutta la mia rete neuronale è oramai congestionata da un crescente traffico di ricordi che rallentano la viabilità dei miei pensieri, tanto che nel tragitto tra lo stimolo e l’effetto si perdono sull’assone, come vecchie macchine abbandonate a bordo strada. Da quando ho iniziato a radermi a zero i capelli, non ci sono più gli sfilacciati riccioli bianchi sulla mia testa e il palcoscenico è tutto per le rughe. Ho imparato a conoscerle, e le sfioro come se fossero cicatrici di ferite che non sapevi di avere. Perché il tempo scorre sempre in una sola direzione, così come le rughe, ma quella voluminosa massa di ricordi affiora senza una direzione precisa, talvolta ti prende alle spalle e a tua insaputa ti trascina indifferentemente sulla sponda del piacere o su quella del rimpianto. Non so quando avevo iniziato a pensare al tempo passato come ad un fardello sempre più ingombrante da sopportare. Non per la fatica, non per le amnesie e neppure per la perdita di lucidità, piuttosto per la mancanza di tempo, quello a venire quello che rimane e non sarà più tuo, quello che rimarrà una piccola parte del massiccio che allunga la sua ombra, generando l’imbrunire di questo autunno.
“Veni l’autunnu
Scura cchiù prestu
L’albiri peddunu i fogghi
E accumincia ‘a scola
Da’ mari già si sentunu i riuturi
Da’ mari già si sentunu i riuturi…”